Storia Associazione Italiana Guide e Scouts d’Europa Cattolici

LA SECOLARIZZAZIONE DEGLI ANNI ‘60 E LE SUE CONSEGUENZE IN ITALIA LA NASCITA DI UNA NUOVA ASSOCIAZIONE SCOUT

 Attilio Grieco

Relazione presentata al Convegno internazionale di studi:
“Lo scautismo in Europa in un secolo di mutazioni: 1907 – 2000”
Organizzato dalla “Université Paul Valéry” – Montpellier (Francia)
21-23 settembre 2000

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 Gli anni ’60 rappresentano, per tutta la società italiana, un’epoca di cambiamenti importanti. Come nel resto della società occidentale, anche in Italia, negli anni ’60, la diffusione dei mezzi di comunicazione, del trasporto di massa, la diffusione della televisione, dell’automobile, lo sviluppo della rete autostradale, l’elettrificazione, la diffusione del telefono, modificano profondamente le abitudini e i modi di pensare della popolazione. Il livello di vita degli italiani aumenta notevolmente. Nuove abitudini iniziano a diffondersi: è nata la civiltà dei consumi.

Uscita pesantemente distrutta dalla guerra, l’Italia aveva iniziato un cammino rapido di ricostruzione, un cammino che, per di più, l’aveva condotta a passare in maniera decisa da una economia essenzialmente agricola ad una economia industriale. L’agricoltura, che nel 1950 contava il 42% dei lavoratori, ne conta il 20% nel 1970, mentre l’industria passa durante lo stesso periodo dal 32% al 40% dei lavoratori e i servizi dal 26% al 40%.

L’urbanizzazione di una grande quantità di contadini diviene in questo modo una realtà. Migliaia di persone, in particolare giovani lavoratori, lasciano le campagne e si trasferiscono in città per lavorare nelle grandi fabbriche. Questo avviene in particolare dal sud dell’Italia, più povero e senza molte risorse, verso il nord della penisola, più ricco, maggiormente dotato di infrastrutture, con delle industrie in pieno sviluppo e alla ricerca di mano d’opera. L’emigrazione non è un fenomeno nuovo per l’Italia. A partire dalla fine del XIX secolo, centinaia di migliaia di italiani emigrano in altri paesi europei e in America, ma negli anni ‘50-‘60 il fenomeno è soprattutto interno. Decine di migliaia di persone emigrano dal sud e dalle regioni meno sviluppate verso i grandi centri industriali del nord alla ricerca di condizioni migliori di vita.

Questa emigrazione interna provoca la congestione delle città del nord e, allo stesso tempo, lo spopolamento e il degrado di vaste zone del sud. Fra il 1950 e il 1960, il sud perde due milioni di abitanti mentre aumenta la popolazione delle grandi città del nord. Ad esempio, la popolazione di Milano e di Torino nel corso di questi anni cresce rispettivamente del 24% e del 43%. Il fenomeno dell’emigrazione interna prosegue fino agli anni ‘70.

Ma questo sradicamento delle popolazioni da località dove esistevano comunità antiche con la loro cultura e le loro solidarietà, per trasferirsi nelle periferie anonime delle grandi città del nord, non avviene senza conseguenze, anche perché le popolazioni del nord non accettano facilmente queste persone che arrivano dal sud con una mentalità che è ancora contadina e quindi molto differente dalla loro.

Purtroppo i servizi pubblici non sono attrezzati per fronteggiare i nuovi bisogni, perché le autorità non sono rapide a provvedere ai grandi cambiamenti di questo periodo. Questo genera la formazione di numerose periferie sottoproletarie degradate e nelle quali sarà facile reclutare per ogni avventura antisociale o pseudo-politica.

 

I giovani

Negli anni ‘60 è l’idea stessa di gioventù come «classe» che si impone. Una quantità sempre maggiore di giovani continua gli studi dopo l’istruzione obbligatoria, fino alle scuole superiori e anche all’università. Ma le scuole superiori e soprattutto le università non sono ancora pronte ad accogliere questa nuova massa di studenti per mancanza di aule e di insegnanti.

L’età dell’adolescenza si prolunga con questa fase di latenza, di disponibilità e anche di inutilità sociale temporanea fra l’infanzia e l’ingresso nel mondo del lavoro. Inoltre questa idea di gioventù come «classe» provoca la scoperta di una «cultura dei giovani», che viene magnificata e celebrata. L’ondata sembra irresistibile sotto il peso della pressione demografica e sotto il suo impatto psicologico.

Una rivoluzione politica e sociale esplode quasi all’improvviso negli avvenimenti del 1968, con tutti i problemi che ne derivano nel corso degli anni successivi. I cambiamenti profondi proseguono nel corso del decennio seguente e conducono a mutamenti importanti nella mentalità di tutta la nazione.

Sono gli studenti universitari ad accendere la miccia. Nell’autunno 1967 occupano una gran parte delle università del centro e del nord Italia, organizzano manifestazioni di piazza e questo li porta spesso a scontrarsi con la polizia. Molto presto agli studenti universitari si aggiungono gli studenti delle scuole superiori.

«La contestazione giovanile riprende i temi e gli obiettivi presenti nei movimenti giovanili degli altri paesi occidentali (l’anti-imperialismo, la protesta contro la guerra del Viet-Nam, l’anti-autoritarismo, l’avversione contro la società dei consumi), ma in Italia essa assume una caratteristica specifica: una ideologizzazione in senso marxista e rivoluzionario. Il movimento studentesco, che era cresciuto nella lotta contro l’autoritarismo accademico, assume una posizione sempre più ostile verso il sistema capitalista e la cultura borghese in generale. La ricerca, spesso velleitaria, di una nuova maniera di fare politica si accompagna ad una vera rivoluzione dei comportamenti che, riportandosi ai cambiamenti provocati dal boom economico, include i rapporti personali, il ruolo della famiglia e le relazioni fra i sessi[i]».

Poco a poco le cose evolvono verso situazioni sempre più violente. La lotta armata e la clandestinità appaiono come una scelta di vita totale, un’esperienza eccezionale ed esaltante. Per i terroristi, di cui una buona parte è costituita da giovani che provengono, per la maggior parte, dalle file del movimento studentesco, dai gruppi extraparlamentari, ma anche dai movimenti cattolici fra i quali lo scautismo[ii], l’azione armata si presenta come un atto modello, destinato soprattutto alla classe operaia per mobilitarla allo scopo di rovesciare il sistema capitalista e dello stato borghese. Gli attentati si contano a centinaia, incendi ma soprattutto sequestri, ferimenti ed omicidi di dirigenti di imprese, di magistrati, di giornalisti, di quadri dello stato.

Questo clima continua, in una maniera più o meno violenta, fino agli anni ‘80. Gli uomini politici italiani, e in particolare quelli che sono al governo, non hanno una strategia coerente e tutta la politica della nazione ne è condizionata.

 

La Chiesa

Un altro elemento di agitazione nella società, e in particolare nella società giovanile, è costituito dalle conseguenze del Concilio Ecumenico Vaticano II. I cambiamenti introdotti dal Concilio, in particolare quelli concernenti la liturgia, sono in generale accettati dai fedeli italiani senza grandi difficoltà e i movimenti di cattolici tradizionalisti hanno uno sviluppo molto ridotto.

Ma il Concilio suscita anche nuove agitazioni e nuovi movimenti che, andando spesso al di là delle indicazioni della gerarchia, cercano di coniugare il messaggio cattolico con un impegno più accentuato nelle lotte sociali, giungendo, in molti casi, a posizioni apertamente rivoluzionarie.

Anche le associazioni cattoliche per la gioventù sono attraversate da crisi profonde e spesso radicali, che provocano frequentemente rotture, scissioni, o, più semplicemente, l’abbandono dei membri. La contestazione è alimentata da interpretazioni, spesso deformate, dei documenti del Concilio Vaticano II. Le situazioni sono molto varie, tuttavia alcune caratteristiche tipiche sono il rifiuto del mondo degli adulti, di ogni tipo di organizzazione, di ogni dipendenza gerarchica, di ogni «struttura», sostituiti dagli ideali di «comunità» e di «autogestione».

Un altro elemento è la creazione di gruppi misti di ragazze e ragazzi. Apparentemente è un problema secondario, ma la mixité crea delle difficoltà perché la struttura di tutte associazioni giovanili cattoliche è rigidamente separata per sesso.

I cambiamenti nelle associazioni cattoliche sono molto importanti, lasciano tracce profonde e si prolungano anche lungo tutto il corso degli anni ‘70, comportando una ristrutturazione radicale del panorama delle associazioni giovanili cattoliche. Scompaiono sigle storiche come GIAC, GF, ASCI, AGI, ecc. e nascono al loro posto il Settore giovanile dell’AC, CL, AGESCI, ecc.

 

Lo scautismo cattolico

Lo scautismo e il guidismo cattolici italiani[iii] sono profondamente toccati e trasformati da tutta questa situazione. Negli anni ‘60 sono costituiti dagli scouts dell’A.S.C.I. (Associazione Scautistica Cattolica Italiana) e le guide dell’A.G.I. (Associazione Guide Italiane).

Lo scautismo nasce in Italia nel 1910, ma nel 1927-28 è sciolto dal fascismo. Nel 1943-1944, alla caduta del fascismo, lo scautismo viene rifondato. Ai primi entusiasmi segue un lungo periodo di consolidamento. I dirigenti nazionali si preoccupano di curare un’applicazione molto fedele del metodo di Baden Powell nella sua interpretazione cattolica, ma, malgrado la buona volontà, lo scautismo e il guidismo italiani conoscono uno sviluppo debole in rapporto agli iscritti che esso ha, nello stesso periodo, negli altri paesi europei.

Nel 1950 gli scouts cattolici dell’A.S.C.I. sono 20.000. In seguito anche alle iniziative per lo sviluppo, lanciate dai dirigenti nazionali, gli iscritti aumentano per arrivare a 30.000 nel 1960 e a 50.000 nel 1970. Le guide cattoliche dell’A.G.I. sono 4.000 nel 1950, 6.000 nel 1960 e 15.000 nel 1970. Da notare che negli anni ‘50 in nazioni europee come l’Inghilterra, o la Francia, gli scouts e le guide sono invece centinaia di migliaia.

Fino alla fine degli anni ‘60, lo scautismo e il guidismo cattolici in Italia si presentano come delle associazioni ben strutturate, disciplinate, leali verso la Chiesa e la società e, come abbiamo visto, in grande crescita numerica. Sono presenti soprattutto nelle parrocchie, anche se l’A.G.I., diversamente dall’A.S.C.I., ha una diffusione molto ridotta negli ambienti più popolari. Tuttavia si rimprovera loro di essere un po’ troppo chiuse nelle loro attività e poco presenti nella vita della Chiesa e della società.

Lo stesso Santo Padre, Paolo VI, accogliendo le capo dell’A.G.I. nel 1963, per il ventesimo anniversario della fondazione della loro associazione, invita le guide a guardare «al mondo esteriore», «alla società», «ai problemi della vita vissuta» [iv].

Questa situazione è destinata a cambiare in poco tempo.

 

I primi cambiamenti e la questione della coeducazione

Da un punto di vista cronologico, i primi cambiamenti nell’A.S.C.I. sono segnati da due avvenimenti. Il primo è la modifica del nome, che nel 1966 da «Associazione Scautistica Cattolica Italiana» diviene «Associazione Scouts Cattolici Italiani». Il termine «cattolico» si sposta dall’associazione ai suoi membri. Non è una semplice questione di denominazione, ma la volontà di affermare una identità cristiana e un’autonomia differenti da quelle del passato.

L’altro avvenimento, nel 1967, è l’adozione di capo donne («cheftaines») per i Lupetti, mentre fino a quel momento erano ammessi solo capi uomini. I dirigenti pensano che questa decisione sarà utile per aiutare lo sviluppo dello scautismo in Italia, ma presumono di avere come capo delle donne adulte e già formate, mentre la situazione reale è che ci si trova con ragazze giovani, fra i 16 e i 20 anni, che hanno bisogno non solo di una formazione sul Lupettismo ma anche di una formazione personale[v].

Non è possibile inserire queste ragazze nei Fuochi dell’A.G.I. principalmente per mancanza di Fuochi, dato che l’associazione delle guide ha avuto uno sviluppo molto più ridotto di quella degli scouts. Si pensa di creare delle «comunità» di cheftaines, ma l’idea rimane una semplice ipotesi[vi]. I Gruppi scouts, per risolvere questo problema, inseriscono le cheftaines nei Clans dei Rovers che, in tal modo, divengono misti. Anche in seguito a ciò, gli altri Clans si aprono alle ragazze e, molto spesso, a ragazze che non hanno avuto alcuna esperienza scout precedente.

Nel 1969, l’A.S.C.I.[vii], pressata dalla situazione, decide di studiare la questione della coeducazione e di approfondire i suoi aspetti psicologici, sociologici, culturali e morali e rivolge un invito all’A.G.I. per un lavoro in comune[viii]. Bisogna aggiungere che, fino a quel momento, le due associazioni avevano vissuto totalmente separate e quasi senza alcun contatto[ix]. A partire da questo momento esse iniziano un lavoro che le condurrà, qualche anno dopo, a fondersi e a creare una nuova associazione mista: l’AGESCI. L’A.G.I., dopo qualche reticenza, accetta la coeducazione e il lavoro in comune con gli scouts.

Nel suo primo documento l’A.S.C.I. parla della complementarietà fra uomo e donna ma, da quando inizia il lavoro con l’A.G.I., questa idea scompare e la coeducazione viene vista piuttosto come «educazione indifferenziata fra ragazzi e ragazze», «rifiuto delle caratterizzazioni culturali dell’uomo e della donna»[x], «superamento di ogni ruolo precostituito fra uomo e donna»[xi], ecc.

Ma la situazione sfugge di mano ai dirigenti nazionali delle due associazioni. Essi invitano i capi e le capo a studiare il problema della coeducazione, a formare dei Gruppi con Unità maschili e femminili, ma senza creare, per il momento, delle Unità miste[xii]. In effetti la volontà ufficiale delle due associazioni viene praticamente ignorata a livello locale dai capi, che si sentono totalmente liberi di realizzare ogni tipo di attività e ogni «sperimentazione» necessaria per adattare lo scautismo alle loro nuove idee. Le Unità miste si moltiplicano sempre più in tutte le Branche. Ufficialmente le due associazioni accetterebbero Unità miste solo a livello di Rovers e Scolte[xiii], ma i capi non si sentono affatto vincolati da questa indicazione.

Non è possibile nessun controllo da parte delle due associazioni poiché, da qualche anno, sono le assemblee dei capi, a livello di Distretto[xiv] e di Regione, che decidono tutto e che eleggono e destituiscono dalle loro funzioni i Commissari. Queste assemblee, numerose durante tutto l’anno, durano abitualmente una intera domenica, dal mattino fino alla sera. Di conseguenza, molti capi preferiscono le attività con i loro ragazzi e non partecipano alle assemblee, o lo fanno per poco tempo. In molte situazioni questo dà la possibilità ai gruppuscoli più estremisti, ma anche meglio organizzati, di monopolizzare la gestione delle assemblee e di far votare le decisioni più importanti nei momenti e nelle situazioni per loro più favorevoli.

In più, a livello di Gruppo, è la «Comunità Capi»[xv] ad essere  responsabile della politica educativa e della gestione del Gruppo e delle sue Unità. Questo fa sì che i Gruppi siano praticamente indipendenti da ogni controllo dell’associazione. Il risultato è che gli «scautismi» si moltiplicano come i Gruppi, dato che ciascuno di essi è padrone a casa propria.

Il problema non riguarda solo la coeducazione, perché moltissimi capi rimettono in causa sia tutti i princìpi fondamentali e tutti i mezzi dello scautismo[xvi], sia il ruolo e la collocazione dello scautismo nella Chiesa e nella società.

Un esempio di ciò che avviene è fornito dalle Branche più giovani. Le due associazioni hanno due sistemi differenti: la Giungla per i ragazzi e le Coccinelle per le ragazze. Molti capi, desiderosi di creare delle Unità miste, decidono allora di abbandonare la Giungla e il Bosco e di adottare dei nuovi «ambienti fantastici» ideati da loro. Si assiste così alla nascita di Unità miste che adottano dei temi come «La Carovana», la «Collina dei conigli», il «Piccolo Principe», i «Puffi», lo «Hobbit», gli «Indiani», il «Volo dei gabbiani», gli «Gnomi», «Ulisse», la «Mongolfiera», «Sandokan», il «Viaggio di Michele e Francesca», la «Valle verde», i «Gattini»[xvii] etc. Si ha notizia anche di una Unità che adotta come «ambiente fantastico» il tema di «Che Guevara»[xviii].

 

La politica

La questione «politica» ha una enorme importanza per lo scautismo italiano in questo periodo. In teoria, lo statuto dell’A.S.C.I. stabilisce che l’associazione è «apolitica e apartitica»[xix], ma alla fine degli anni ‘60 la questione non è così semplice. Da sempre nello Scautismo vi sono dei valori «politici», come la vita in comunità, la fraternità verso tutti, il servizio, l’educazione alla responsabilità, ecc. Ma ora si pensa che un’associazione scout non possa rimanere fuori dalla vita concreta e che essa non possa essere una «isola felice» lontana dai problemi della società. In questa linea viene pesantemente criticata la vita all’aria aperta perché è vista come un’evasione e una fuga dalla società.

La politica diviene uno dei grossi temi di lavoro di tutta l’associazione. Già nel 1966, per i 50 anni della fondazione, l’A.S.C.I. tiene un congresso, al quale partecipano un migliaio di Capi e di Assistenti, e che ha per tema: «Lo Scautismo per l’educazione dell’uomo, alla luce del Concilio, nella società in trasformazione». Questo congresso è seguito nel 1969 da un nuovo congresso il cui titolo è: «Un metodo per l’educazione alla vita sociale».La Branca Rover, che già da qualche anno ha lanciato una «apertura al mondo dei giovani», prende la politica come tema dell’incontro nazionale dei Capi Clan del 1968. La rivista dei capi dell’A.S.C.I.[xx] inizia la pubblicazione di una quantità di articoli su temi politici.

Nell’A.G.I. la situazione è più radicalizzata. Al congresso del 1967, che ha come tema «Presenza dell’A.G.I. nel mondo», le capo chiedono una educazione politica nell’associazione. Nel 1973 il Consiglio Generale dell’A.G.I. approva una «Proposta» nella quale si dice che «l’educazione non è neutrale ma che ogni azione è un’azione politica…». «La società è strutturata soprattutto sulla base delle leggi del profitto, della violenza e dell’esclusione…»[xxi]. «L’educatore scout è quindi chiamato a fare un’analisi della realtà sociale e delle sue contraddizioni…»[xxii].

Tutta la stampa scout, sia per i ragazzi che per i capi, si apre alle questioni politiche, in particolare il Viet-Nam, la fame nel mondo, il sottosviluppo, ecc. Nel 1974, nel primo numero della nuova rivista unificata per i rovers e le scolte, nell’articolo «Impegno politico del Clan e delle persone», si possono leggere frasi come: «Noi pensiamo di aver analizzato sufficientemente a fondo la prassi. E di non essere caduti nell’errore di Gesù Cristo, convinto che la rivoluzione si possa fare solo nell’animo degli uomini…»[xxiii].

In un altro documento si può leggere: «La nostra non è una “educazione alla libertà” ma una “educazione liberante”. Cosa significa d’altronde “uomini buoni, liberi”?. Non abbiamo bisogno di singoli uomini “liberi” ma di masse disciplinate, atte alla lotta. Il nostro fine prossimo non è l’ideale goethiano della personalità, ma la costruzione di operai con una coscienza di classe che sappiano anche sacrificare e trascurare la loro “personalità” se l’interesse della lotta lo richiede»[xxiv].

Poco a poco, il tema politico passa dalle sessioni di discussione alla pratica concreta. Si possono vedere dei capi impegnati in azione con partiti politici, in genere partiti di estrema sinistra. Molto spesso questi capi firmano dei documenti pubblici come responsabili scouts, o partecipano con i loro giovani (spesso dei rovers, ma anche degli scouts o dei lupetti) a manifestazioni politiche, o a picchetti di scioperanti, o all’occupazione di fabbriche e di altri edifici[xxv]. Molti capi, con i loro Gruppi scouts, si impegnano nei «comitati di quartiere», organismi spontanei, ma spesso molto politicizzati, presenti in questo periodo in molte città italiane e che si interessano dei problemi del quartiere. Le due associazioni incoraggiano questo tipo di collaborazione[xxvi].

La stampa italiana, che abitualmente non si interessa molto allo scautismo, parla invece spesso degli scouts nel corso di questi anni. Un esempio è fornito dal settimanale «Panorama» che presenta la situazione dello scautismo cattolico dicendo che «svolta a sinistra»[xxvii] e, nello stesso articolo, parla anche dei problemi fra alcuni parroci di Roma e gli scouts delle loro parrocchie: i capi di una parrocchia hanno collaborato con la federazione giovanile comunista (F.G.C.I.) del quartiere per l’organizzazione della “Festa dell’Unità” del Partito Comunista Italiano, mentre i capi di un’altra hanno organizzato una manifestazione in uniforme davanti alla chiesa parrocchiale, con i giovani comunisti e i giovani socialisti, contro gli americani e la guerra del Viet-Nam.

Situazioni di questo tipo sono frequenti in questo periodo, ma questi capi sono in buona compagnia perché la Commissaria Generale[xxviii] dell’A.G.I. in un’intervista dichiara pubblicamente che alle ultime elezioni ha votato per il Partito Comunista Italiano[xxix]. Per le elezioni del 1976 il Partito Comunista Italiano propone a due responsabili nazionali di candidarsi nelle sue liste[xxx].

 

La posizione verso la Chiesa

La posizione dell’A.S.C.I. verso la Chiesa presenta delle differenze fra la posizione dei dirigenti nazionali e quella dei capi a livello locale, benché talvolta si possano leggere sulla rivista dei capi delle posizioni critiche[xxxi].

L’A.G.I. è molto più critica: in un documento ufficiale dichiara che essa vuole essere «…lontana da ogni tentazione di integrismo (il cristianesimo come panacea di tutti i mali della storia), essa agisce (lotta) al fianco dei poveri, degli umili, dei piccoli, …»[xxxii]. Nel 1969, all’Assemblea Nazionale delle Scolte che ha per tema: «Scolte verso un ordine nuovo», le ragazze chiedono una «religiosità più larga» e l’ammissione di «ragazze che appartengono ad altre o a nessuna confessione religiosa»[xxxiii]. Nel 1970, il Consiglio Generale[xxxiv] dell’A.G.I. chiede di «mettere da parte l’idea, che non è più reale, di una associazione di cristiane credenti che desiderano perfezionare la propria fede»[xxxv]. Due anni dopo, sulla rivista delle capo la Chiesa è accusata di «collusione e di servilismo verso il potere»[xxxvi].

Molto più radicale è la posizione di una quantità di capi a livello locale, che si mettono in opposizione, o in lotta aperta, con i parroci e i vescovi. Essi fanno una distinzione fra la «Chiesa dei poveri» (o «Chiesa-comunità») e la «Chiesa-istituzione», spesso chiamata «gerarchica» e che è vista come il simbolo dell’autoritarismo e dell’oppressione.

Nel 1974, all’entrata dell’assemblea regionale dei capi della Regione Lazio, si può leggere un manifesto che propone un’azione per la realizzazione di uno «Scautismo alternativo», «per una critica dello sfruttamento neo-capitalista», «per una comunità di salvezza contro la chiesa gerarchica dei privilegi», «contro un’educazione neutrale al di fuori della lotta di classe», ecc[xxxvii].

 

Le applicazioni del «metodo scout»

Come visto prima, tutto il metodo scout, così come è stato concepito da Baden Powell, viene rimesso interamente in causa da numerosi capi e Baden Powell stesso viene rifiutato a causa del suo passato militare. Un tipico esempio di questo genere di rifiuto è fornito da quanto avvenuto, nel 1972, nella città di Modena, dove l’amministrazione comunale accetta la proposta di alcuni adulti scouts del M.A.S.C.I. di dedicare una strada a Baden Powell. Al momento dell’inaugurazione della targa, i responsabili locali dell’A.S.C.I. contestano pubblicamente e in maniera molto pesante questa decisione, accusando Baden Powell di militarismo e di imperialismo, con il più grande imbarazzo dei rappresentanti dell’amministrazione comunale (di sinistra) [xxxviii].

Molti capi rifiutano la giungla per i Lupetti perché Kipling, il suo ideatore, è accusato di essere il poeta del colonialismo inglese.

L’A.G.I., ispirandosi allo psicologo americano Rogers, adotta la «non direttività»[xxxix], che determina una posizione del capo più come semplice spettatore e animatore che come educatore. La «non direttività» diviene rapidamente uno dei punti di base per i capi delle due associazioni.

L’A.G.I. rimette in causa anche tutto il metodo scout e parla di «metodologia non strutturata», indicando con questa definizione il rifiuto del guidismo così come esso è stato vissuto nell’associazione fino poco prima. Ora si sostiene che è necessario partire dalle persone e dalle loro esigenze e che, ogni volta, la capo, tenendo conto di alcuni «valori di base», deve inventare i mezzi e le proposte, ma senza utilizzare un «metodo strutturato», cioè senza utilizzare il metodo scout di Baden Powell[xl]. Tipica è la posizione nei confronti di elementi come la Legge o il sistema delle squadriglie che sono aboliti e sostituiti, la prima da regole scelte, di volta in volta, dalle ragazze stesse e il secondo da gruppi spontanei che cambiano ad ogni attività[xli]. È simbolica di questa situazione la proposta, nel 1972, della Commissaria Generale dell’A.G.I. di abolire l’uniforme, proposta che non viene accettata dal Consiglio Generale con una maggioranza di appena 3 voti[xlii].

Nel 1974, quindi, la situazione dello scautismo cattolico è di una confusione estrema poiché, accanto a capi che continuano ancora a praticare lo scautismo classico, vi sono capi che pretendono di ideare di nuovo il metodo scout. Capi che abbandonano l’uniforme scout e la vita all’aria aperta e si consacrano con le loro Unità all’attività sociale, arrivando a perdere ogni identità scout. Capi che vedono nel messianismo marxista la proposta più concreta di impegno politico e che guardano con simpatia ai movimenti dell’estrema sinistra. Capi che rifiutano la dimensione ecclesiale dell’associazione, ritenendo che l’educazione alla fede non sia compito dello scautismo e che si mettono in contestazione verso la Chiesa. Capi che, basandosi su idee e teorie personali, si lanciano in esperienze di coeducazione creando Unità miste in tutte le Branche.

 

La nascita dell’AGESCI

In questa situazione, i due Consigli Generali dell’A.S.C.I. e dell’A.G.I., in una riunione congiunta il 4 maggio 1974, decidono di fondere le due associazioni e di dare origine all’AGESCI (Associazione Guide e Scouts Cattolici Italiani). In origine, i dirigenti avevano pensato che, prima di fondere le strutture delle due associazioni, sarebbe stato necessario definire dei documenti di base, una proposta educativa, dei testi comuni. Ma, nonostante il lavoro effettuato insieme a partire dal 1969-70, questi documenti non sono stati elaborati e la fusione fra le due associazioni viene realizzata in maniera piuttosto affrettata. Nel 1974 viene approvato solo lo Statuto, lasciando tutto il resto del lavoro per gli anni a venire. La situazione ha spinto i responsabili nazionali a realizzare ugualmente la fusione, ma per l’AGESCI sarà necessario quasi un decennio per cercare di risolvere i problemi che restano aperti[xliii].

Una delle cause principali di questa fusione affrettata è dovuta al fatto che, quando nel 1969-70 i responsabili delle due associazioni iniziano il lavoro in comune, pensano di avere gli stessi principi a causa della stessa origine scout e cattolica. La realtà è che questo non è vero, o non lo è più nel 1969, e le differenze fra le due associazioni sono notevoli, in particolare per quanto concerne i valori fondamentali, il metodo scout, il rapporto fra capo e ragazzo, ecc[xliv]. La constatazione di questa situazione e le difficoltà che sorgono in diverse situazioni locali fra i responsabili dell’A.S.C.I. e quelle dell’A.G.I., avevano portato alcuni capi dell’A.S.C.I. a proporre al proprio Consiglio Generale la creazione di Unità femminili inserite nell’A.S.C.I. ma senza alcun legame con l’A.G.I. [xlv]. Tale proposta però non aveva avuto seguito.

 

Le reazioni della Chiesa e dell’opinione pubblica

Le reazioni della Chiesa italiana alla nascita dell’AGESCI sono molto prudenti. La Conferenza Episcopale, come condizione per approvare lo Statuto, chiede dei cambiamenti in particolare sull’ecclesialità dell’associazione, sulla posizione dell’Assistente, sulle Unità miste, sulla posizione politica dell’associazione[xlvi].

Da notare che il giorno successivo alla fondazione, il Consiglio Generale della nuova associazione approva un testo, presentato dal suo Presidente Giancarlo Lombardi, che attacca il Cardinal Vicario di Roma, mons. Poletti, per la sua posizione nei confronti dell’abate Franzoni, il quale si era posto in una posizione di ribellione aperta verso la Chiesa ed era stato scomunicato[xlvii]. La stessa tesi è espressa da 2.225 firmatari di una lettera a questo proposito inviata al Cardinal Vicario di Roma, durante il campo nazionale rovers e scolte dell’agosto 1975, campo che aveva riunito 5.000 partecipanti[xlviii].

Le reazioni della stampa alla nascita dell’AGESCI sono molto simili le une alle altre. I giornali e le riviste, di qualunque tendenza politica, presentano la questione praticamente nella stessa maniera: gli scouts divengono misti e svoltano a sinistra. Ad esempio il settimanale «L’Espresso» titola: «Davy Crockett svolta a sinistra»[xlix], «Panorama» scrive: «Scautismo, sempre meno boy»[l], «Il Settimanale» informa: «C’è odore di bruciato al bivacco degli scouts»[li]. Anche il settimanale cattolico «Famiglia cristiana», molto vicino ai vescovi, pubblica un articolo molto prudente ma il cui titolo è «Un po’ di rivoluzione anche fra gli scouts»[lii].

 

La reazioni dei Gruppi

Le reazioni dei Gruppi scouts alla nascita dell’AGESCI sono molto varie, ma la maggior parte di essi accetta la fusione senza problemi particolari. Vi è, tuttavia, una quantità di capi A.S.C.I. che si trovano di fronte a questa nuova associazione senza averla voluta, perché vedono bene sia le differenze fra la loro associazione e quella delle guide, sia la situazione molto confusa in cui si realizza questa fusione e temono una fusione «al buio»[liii]. Questi timori sono confermati da quanto si può leggere, qualche mese dopo la fusione, sul primo numero della nuova rivista dei capi dell’AGESCI: «…nell’associazione coesistono le interpretazioni più estreme del metodo (e al limite del rifiuto del metodo) con le opinioni più differenti nei riguardi dell’impegno sociale dell’associazione…»[liv].

Numerosi Assistenti non accettano i nuovi orientamenti dell’AGESCI e il 10% di essi abbandona lo scautismo, non rinnovando più il censimento per il 1975. Il Comitato Centrale AGESCI attribuisce questi abbandoni al fatto «che essi preferiscono delle associazioni e dei gruppi nei quali esiste una chiara presentazione della scelta religiosa» [lv].

Qualche Gruppo e qualche capo passano agli scouts aconfessionali del C.N.G.E.I. [lvi]. Alcuni Gruppi creano associazioni locali[lvii]. Altri Gruppi continuano la loro vita in maniera autonoma senza entrare nella nuova associazione[lviii]. La stessa soluzione è adottata da capi e assistenti che fondano Gruppi Scouts nel corso di questi anni ma senza aderire a nessuna associazione[lix]. È la stessa soluzione adottata da altri Gruppi usciti dall’A.S.C.I. già da alcuni anni e che vivono in una maniera autonoma[lx].

Vi sono anche dei Gruppi che pagano il censimento all’AGESCI, soprattutto per avere diritto all’assicurazione contro gli infortuni, ma che si isolano da attività e incontri proposti dall’associazione[lxi].

A Roma, i capi che sono critici verso i nuovi orientamenti si incontrano e insieme cercano di concordare delle azioni comuni. A novembre 1974, questi capi propongono all’assemblea dei capi della loro Regione di realizzare un programma secondo le linee classiche dello scautismo cattolico[lxii], ma la loro proposta viene rigettata dalla maggioranza dell’assemblea. Rendendosi conto di essere ormai una minoranza, questi capi abbandonano allora azioni di questo tipo per organizzare invece attività per i loro Gruppi, boicottando quelle dell’associazione. Alcuni di loro, ad esempio, organizzano un campo scuola, a novembre 1974, nei pressi di Fano (PS), con una trentina di partecipanti, o un San Giorgio nell’aprile 1975[lxiii]. Ma è evidente che una situazione di questo tipo non può durare a lungo.

 

Il «Centro Studi ed Esperienze Scout “Baden Powell”»

Una quindicina di capi e assistenti di tutta Italia, fra i quali alcuni ex-responsabili nazionali, critici verso la fusione e i suoi risultati, fondano un Centro Studi[lxiv] sullo scautismo «per confronti, critiche e scambi di idee»[lxv]. Il Centro organizza incontri per presentare lo scautismo classico di Baden Powell e pubblica anche una rivista per capi dal titolo «Esperienze e Progetti». La rivista, destinata ai capi, presenta applicazioni pratiche di scautismo, idee, programmi, giochi, ecc, dato che ormai da anni la rivista ufficiale per i capi si interessa quasi esclusivamente dei grandi problemi sociali o della questione della fusione. Nel corso degli anni seguenti, il Centro Studi pubblica anche alcuni libri ed organizza delle ”routes”, a Pasqua e a Natale, per rovers, scolte, capi. L’azione e le pubblicazioni del Centro Studi ottengono un buon successo e un migliaio di capi si abbona alla rivista.

Il Centro Studi non è molto apprezzato dai dirigenti dell’AGESCI che tuttavia gli lasciano libertà d’azione [lxvi]. Dal suo canto il Centro Studi, anche se molto critico verso l’AGESCI, sostiene che bisogna lavorare all’interno dell’associazione per cambiare la situazione e cerca di bloccare ogni idea di altre soluzioni. Alla questione se restare o no nell’AGESCI per coloro che non ne condividono le idee, la risposta del Centro Studi è: «… non esitiamo mai a consigliare di rimanere nell’associazione. Soltanto dal di dentro infatti è possibile sensibilizzare gli altri ai propri ideali, specialmente con l’esempio»[lxvii]. Aggiungiamo a ciò che il Centro Studi ha avuto un ruolo totalmente involontario nella nascita delle Guide e Scouts d’Europa italiani e che, in più occasioni, ha proposto un’unificazione di tale associazione con l’AGESCI.

L’azione del Centro Studi è però insufficiente per i Capi Unità che desiderano continuare a vivere lo scautismo classico, perché le proposte dell’AGESC, le riviste scouts che i ragazzi ricevono, i raduni e gli incontri, i campi scuola, costituiscono delle situazioni di difficoltà e di disagio, in quanto le Unità e i Gruppi vivono ciascuno uno «scautismo» differente, legato alle idee e molto spesso anche alle ideologie dei capi e dei responsabili locali.

 

Il Giubileo del 1975

A settembre 1975 giungono a Roma, per il Giubileo, 500 capi, rovers e scolte delle associazioni francese, belga e canadese delle Guide e Scouts d’Europa. Sono ben visibili con le loro uniformi impeccabili e, in tale occasione, hanno luogo degli incontri con alcuni capi romani dei Gruppi isolati che, già da qualche tempo, sono in contatto con loro.

Il Santo Padre, Paolo VI, rivolge alle Guide e Scouts d’Europa un breve discorso, dicendo che essi «sono degli amici» per lui ed aggiunge: «Noi abbiamo una grande fiducia nella vostra presenza, nel vostro lavoro, nella vostra associazione e nello spirito dello scautismo» [lxviii]. Queste parole sono destinate ad avere delle ripercussioni importanti, non solo in Francia, ma anche in Italia e in altre nazioni europee.

 

Una nuova associazione

A gennaio 1976 il Centro Studi programma di organizzare un fine-settimana per i capi di Roma da tenersi nel mese di maggio, per parlare del metodo classico di Baden Powell. Fra gli organizzatori di questa attività vi sono due capi dei Gruppi isolati di Roma. Il caso vuole che questi capi siano incaricati di diffondere gli inviti per questa attività. Ciò crea l’occasione di un incontro con i Gruppi di Roma che non hanno aderito all’AGESCI e che vivono in maniera autonoma. I capi di questi Gruppi autonomi organizzano ogni anno una uscita per la festa di San Giorgio e stanno progettando di creare una piccola federazione fra i loro Gruppi.

L’incontro fra tutte queste persone è la scintilla che fa nascere una nuova idea. Uno dei due capi è in contatto, già da qualche anno, con le Guide e Scouts d’Europa francesi. Egli presenta allora la Federazione dello Scautismo Europeo e mostra pubblicazioni e riviste F.S.E.. I partecipanti si rendono conto che nella F.S.E. possono trovare la fedeltà allo scautismo cattolico classico e alla Chiesa, vivere l’ideale europeo e avere un’apertura internazionale. Essi prendono allora la decisione di dare vita ad un’associazione scout cattolica della F.S.E. in Italia[lxix].

Vengono presi dei contatti con la F.S.E. e in particolare con Pierre Géraud-Keraod, Commissario Generale francese e, a quest’epoca, Vice Commissario Federale incaricato per le nuove associazioni. Viene scritto lo Statuto e sono definite le prime regole della nuova associazione. Infine il 14 aprile 1976, circa due mesi dopo la prima riunione, una dozzina di capi e capo registrano presso un notaio di Roma l’atto di fondazione e lo Statuto della «Associazione Italiana Guide e Scouts d’Europa Cattolici» e, il giorno stesso, chiedono ufficialmente di entrare a far parte della Federazione dello Scautismo Europeo.

Fra i fondatori vi sono persone appartenenti a tutte le classi sociali e la stessa cosa può essere affermata sia per i primi Gruppi, sia per gli altri che aderiscono, o vengono fondati, negli anni seguenti. I Gruppi che danno vita all’associazione sono tutti di Roma (Roma 3, Roma 32, Roma 43, Roma 46, Roma 51, Roma 68) e contano un totale di 420 membri, fra cui 350 capi e ragazzi e 70 capo e ragazze. I dirigenti si rendono conto che i ragazzi sono in maggioranza e che è indispensabile avere delle capo preparate per le ragazze. Si mettono allora alla ricerca ed hanno la fortuna di trovare delle capo e commissarie che avevano fatto parte dell’A.G.I. prima della crisi. Sono loro che organizzano la parte femminile dell’associazione in stretto collegamento con la parte maschile.

Nasce un nuovo modo di lavorare: un’associazione unica, articolata in due Sezioni, maschile e femminile; con capi e capo che lavorano insieme per l’educazione dei ragazzi e delle ragazze, con una formazione unitaria nello spirito e nei principi ma differenziata nei mezzi e nelle applicazioni pratiche per rispettare le specificità tipiche dei due sessi.

A questo punto è necessaria una precisazione: per tutti gli avvenimenti che hanno portato alla fondazione dell’«Associazione Italiana Guide e Scouts d’Europa Cattolici» in questo documento si è parlato di «casualità» o di «fortuna», ma i dirigenti dell’epoca sono convinti che nulla sarebbe stato possibile senza l’aiuto della Divina Provvidenza[lxx].

 

Le motivazioni

Non è certamente possibile elencare in poche parole tutte le motivazioni che spingono questi capi a lanciarsi in un’avventura le cui probabilità di successo sono molto incerte e che può sembrare veramente temeraria perché i fondatori non hanno nessun sostegno né nella Chiesa, né nel mondo politico o economico. Non hanno nemmeno risorse finanziarie, eccettuate quelle che escono dalle loro tasche personali.

Fra le motivazioni bisogna considerare che si tratta di capi che da molti anni sono in contatto diretto con i ragazzi. Diversi di loro sono stati commissari o responsabili ma sono tutti Capi Gruppo o Capi Unità i quali, malgrado tutte le difficoltà di questo periodo, hanno continuato a vivere lo scautismo cattolico classico. Quindi hanno l’esperienza diretta della sua validità, non solo perché sono convinti dei suoi principi, ma perché possono constatare con i loro occhi che esso è sempre ben accetto dai ragazzi. Sono anche convinti che molti dei cambiamenti e delle modifiche apportate allo scautismo cattolico negli ultimi anni non dipendono dalla necessità di adattarlo ai ragazzi attuali, ma che derivano da capi che vogliono cambiare lo scautismo per seguire idee e ideologie differenti, o da capi giovani che riversano sui ragazzi i loro problemi personali.

Alla base della loro azione, i fondatori pongono la loro fede cattolica, che non può essere separata dalla fedeltà alla Chiesa. Essi concepiscono lo scautismo come un mezzo di apostolato e di servizio. Il discorso di Paolo VI alle Guide e Scouts d’Europa, nel settembre 1975, fa loro comprendere che nella Chiesa c’è uno spazio per la loro azione.

 

I primi passi

La notizia della fondazione dell’associazione si diffonde in diverse regioni d’Italia, ma i dirigenti decidono di non fare propaganda e di evitare, per quanto possibile, ogni proselitismo verso i Gruppi che aderiscono all’AGESCI. Si preferisce piuttosto uno sviluppo attraverso la fondazione di Gruppi nuovi. L’associazione accoglie Gruppi isolati o autonomi, o associazioni locali. Nonostante ciò, alcuni Gruppi escono dall’AGESCI e chiedono di aderire alla nuova associazione, ma lo sviluppo avviene soprattutto attraverso nuove fondazioni.

L’AGESCI è contraria alla nascita di una nuova associazione scout e cattolica e, benché vengano rapidamente stabiliti dei contatti informali fra i rispettivi dirigenti, essa pubblica un documento, denominato «Dossier Scouts d’Europe»[lxxi], che viene diffuso in tutta Italia soprattutto ai vescovi e ai parroci. I dirigenti delle Guide e Scouts d’Europa italiani preparano e diffondono allora un altro documento nel quale spiegano le inesattezze contenute nel dossier dell’AGESCI. Inizia così un lungo periodo di discordia fra le due associazioni.

Ufficialmente la Chiesa italiana ignora la nascita della nuova associazione. In linea di massima i parroci accolgono favorevolmente nelle loro parrocchie i Gruppi Scouts F.S.E.. Qualche vescovo appoggia apertamente l’associazione, altri non se ne interessano e, in qualche caso, c’è l’opposizione. Ma, anche i vescovi che sono contrari alla nuova associazione, non impediscono il funzionamento dei Gruppi Scouts F.S.E. esistenti nelle parrocchie delle loro diocesi.

Bisogna aggiungere che il 6-7 e 8 settembre 1976[lxxii] il giornale della Santa Sede, «L’Osservatore Romano», pubblica degli articoli che presentano la nascita delle Guide e Scouts d’Europa italiani e che riproducono i testi di un libretto diffuso dall’associazione. È un aiuto importante per lo sviluppo dell’associazione.

Questo sviluppo avviene poco a poco. I Gruppi sorgono per la gran parte nelle parrocchie. Un anno dopo la fondazione i soci sono già 2.700 e lo sviluppo numerico continua in maniera costante nel corso degli anni, per arrivare fino al giorno d’oggi in cui l’associazione conta circa 20.000 soci.

Nel novembre 1976 i primi campi-scuola in Toscana riuniscono circa 180 partecipanti, ma la loro realizzazione rappresenta soprattutto l’inizio di un lavoro di collaborazione fra le differenti componenti dell’associazione. Nella fedeltà allo scautismo e al guidismo cattolici dell’A.S.C.I. e dell’A.G.I. e nella fedeltà ai principi e ai testi fondamentali della F.S.E., uno stile e delle caratteristiche specifiche dell’associazione nascono poco a poco. Negli anni seguenti i primi dirigenti romani sono gradualmente sostituiti da capi di tutta Italia alla guida dell’associazione.

 

Alcuni avvenimenti

Nel novembre 1977 il Consiglio Federale dell’«Unione Internazionale delle Guide e Scouts d’Europa – Federazione dello Scautismo Europeo», riunito nei pressi di Strasburgo, accoglie ufficialmente l’associazione nell’Unione[lxxiii].

Nel 1982[lxxiv] il Cardinal Vicario di Roma, mons. Poletti, riconosce l’associazione per la diocesi di Roma e, in seguito a questo riconoscimento, l’associazione ottiene il riconoscimento giuridico della Repubblica Italiana[lxxv].

Nel 1994 l’associazione organizza un «Eurojam» per Scouts e Guide di tutte le associazioni della F.S.E.. Il 3 agosto, il Santo Padre accoglie a San Pietro in Vaticano i 7.500 partecipanti e nel suo discorso li invita a «operare all’interno della grande famiglia degli Scouts, di cui siete fratelli e sorelle, con la vostra specifica pedagogia»[lxxvi]. Il suo discorso costituisce la base dell’azione successiva dell’associazione e di tutta la F.S.E..

Nel 1998 la Conferenza Episcopale Italiana riconosce l’associazione, ne approva lo Statuto e nomina ufficialmente, su proposta dell’associazione, l’Assistente Generale e gli Assistenti Nazionali delle sei Branche[lxxvii].

Da parte loro, nello stesso periodo, i dirigenti dell’AGESCI cambiano molte cose rispetto alla situazione degli anni ‘70. Anche se i Gruppi mantengono sempre una grande autonomia e la gestione dell’associazione a livello locale è affidata sempre alle assemblee dei capi, le norme dell’associazione sono più rigorose e precise. A partire dalla metà degli anni ‘80 l’associazione riprende in maniera più risoluta tutta una serie di elementi del metodo scout, come il sistema delle squadriglie o la giungla per i Lupetti[lxxviii]. I soci dell’AGESCI passano dagli 83.000 del 1974 ai 180.000 del 2000.

I rapporti fra Guide e Scouts d’Europa italiani e AGESCI, che sono sempre stati molto tesi, a partire dalla metà degli anni ‘90 migliorano con l’aiuto della Conferenza Episcopale Italiana e, poco a poco, divengono molto buoni. Scambi e inviti avvengono fra le due associazioni che, nel 1998, organizzano un congresso per gli Assistenti delle due associazioni. Un nuovo congresso dello stesso tipo è previsto per la primavera 2001. Nel 1999 i dirigenti delle Guide e Scouts d’Europa italiani e dell’AGESCI firmano e diffondono fra i capi delle due associazioni un documento sui rapporti reciproci.

Per le Giornate Mondiali della Gioventù, nel 2000 a Roma, le due associazioni realizzano delle collaborazioni e, proprio in considerazione di ciò, la Conferenza Internazionale dello Scautismo Cattolico (CICS) e la Conferenza Internazionale del Guidismo Cattolico (CICG) invitano ufficialmente i componenti dell’Unione Internazionale delle Guide e Scouts d’Europa[lxxix] a partecipare alla veglia scout del 17 agosto a Villa Borghese.

Questa esperienza italiana di collaborazione, fra due associazioni scouts cattoliche ma con caratteristiche e specificità ben differenti, potrebbe rappresentare una nuova strada per stabilire dei rapporti di fraternità e di collaborazione fra le associazioni che aderiscono all’OMMS e le associazioni che fanno parte della Unione Internazionale delle Guide e Scouts d’Europa.


[i] Giardina, Sabbatucci, Vidotto, Il Manuale, Editori Laterza, 1998

[ii] M. Sica, Storia dello Scautismo in Italia, Nuova Fiordaliso 1996, p.364

[iii] Nel presente documento l’autore si interessa solamente dello scautismo e del guidismo cattolici. Lo scautismo e il guidismo non-confessionali sono rappresentati negli anni ’60 dal C.N.G.E.I. (Corpo Nazionale Giovani Esploratori Italiani) e dall’U.N.G.E.I. (Unione Nazionale Giovani Esploratrici Italiane).

[iv] Paolo VI, 28 dicembre 1963.

[v] « Estote Parati » n.135 p.315

[vi] «Estote Parati» n.128 p.512

[vii] La decisione viene presa dal « Consiglio Generale » dell’associazione, responsabile dello Statuto, delle Norme Direttive, dell’elezione dei dirigenti nazionali, ecc, e composto da delegati eletti dai capi in ogni Regione, dai Commissari e dagli Assistenti Regionali e dai componenti del Commissariato Centrale dell’associazione. In linea di massima, il Consiglio Generale si riunisce una volta l’anno, salvo casi molto particolari.

[viii] « Estote Parati » n.135 p.308

[ix] M. Sica, Storia dello Scautismo in Italia, Nuova Fiordaliso 1996, p.344

[x] « Estote Parati » n.160 p.616

[xi] « Estote Parati – Il Trifoglio » n.5-1973 p.12

[xii] « Estote Parati » n.145 p.319

[xiii] « Estote Parati – Il Trifoglio » n.9-10/1974 p.42

[xiv] Nell’A.S.C.I. il Distretto è chiamato Provincia.

[xv] Introdotta ufficialmente nell’A.S.C.I. nel 1970.

[xvi] « Estote Parati – Il Trifoglio » n.1/1972 p.53, 2/1972 p.77, n.4/72 p.9, p.21, n.6/1972 p.66

[xvii] «Esperienze e Progetti» n.12 p.54

[xviii] «Esperienze e Progetti» n.13 p.108

[xix] A.S.C.I., Statuto, art. 5

[xx] « Estote parati », nome della rivista dei capi dell’A.S.C.I. e anche motto degli scouts e delle guide cattolici italiani (Vangelo di Luca 12,40 e di Matteo 24,44). Dal 1972 fino al 1974 questa rivista viene unificata con la rivista delle capo dell’A.G.I. « Il Trifoglio ». A partire dal 1975 il nome della rivista dei capi dell’AGESCI diviene « Scout – Proposta educativa ».

[xxi] « Estote parati – Il Trifoglio » n.5/1973 p.11

[xxii] « Estote parati – Il Trifoglio » n.5/1973 p.13

[xxiii] « Camminiamo insieme » 1/1974 p.10

[xxiv] AGESCI Regione Piemonte “Quaderni 1973-75” p.53 citato su « Esperienze e Progetti » n.13 p.110

[xxv] M. Sica, Storia dello Scautismo in Italia, Nuova Fiordaliso 1996, p.341

[xxvi] « Estote parati – Il Trifoglio » n.1/1972 p.64

[xxvii] « Panorama » 10 gennaio 1974, anno XII n.403

[xxviii] «Commissaria Nazionale»

[xxix] « Lotta Oggi », Mensile della Sezione comunista del quartiere Nomentano di Roma, Anno VIII – n. 5

[xxx] « L’Espresso » 19 maggio 1976, n.19, p.12

[xxxi] « Estote Parati – Il Trifoglio  » n.1/1972 p.34

[xxxii] « Il Trifoglio », rivista per le capo dell’A.G.I., n.7-8 – 10/1969 – p.20

[xxxiii] « La Tenda », rivista per le Scolte dell’A.G.I., n.12 1969

[xxxiv] Il « Consiglio Generale » dell’A.G.I. ha una composizione e dei poteri praticamente simili all’analogo organismo dell’A.S.C.I. (vedere nota n.7)

[xxxv] « Il Trifoglio » n.8 1970 p.12

[xxxvi] « Estote Parati – Il Trifoglio » n.4/1972 p.15

[xxxvii] « Esperienze e Progetti » n.13 p.109

[xxxviii] « Esperienze e Progetti » n.70 p.50

[xxxix] « Estote Parati – Il Trifoglio » n. 1/1972 p.28

[xl] « Estote Parati – Il Trifoglio » n. 6/1972 p.66

[xli] « Estote Parati – Il Trifoglio » n. 1/1972 p.53, 4/72 p.21, 4/1972 p.9

[xlii] « Estote Parati – Il Trifoglio » n. 6/1972 p.114

[xliii] M. Sica, Storia dello Scautismo in Italia, Nuova Fiordaliso 1996, p.349

[xliv] M. Sica, Storia dello Scautismo in Italia, Nuova Fiordaliso 1996, p.347

[xlv] « Estote Parati – Il Trifoglio » n.1/1972

[xlvi] Lettera del Segretario Generale della Conferenza Episcopale Italiana, mons. E. Bartoletti, del 24 aprile 1975.

[xlvii] « Estote Parati – Il Trifoglio » n. 4-5/1974 p.12 e 53

[xlviii] « Camminiamo Insieme » n.7/1975 p.6

[xlix] «L’Espresso» n.51, anno XX, 22 dicembre 1974

[l] «Panorama» n.487

[li] «Il Settimanale»  n.8-9 Anno I

[lii] « Famiglia Cristiana » 1 settembre 1974 anno XLIV

[liii] M. Sica, Storia dello Scautismo in Italia, Nuova Fiordaliso 1996, p.349

[liv] « Scout – Proposta educativa » n.1-1975 p.82

[lv] « Scout – Proposta educativa » n.2-1976

[lvi] Si possono citare dei Gruppi a Genova e a Parma.

[lvii] Si può citare la fondazione di una federazione a Treviso che riunisce 450 scouts e guide, di una associazione a Trento, o dell’A.I.E.I.C (Associazione Italiana Esploratori Indipendenti Cattolici) a Lido di Roma.

[lviii] È il caso, ad esempio, dei Gruppi Roma 51, Pergola 1, Poggibonsi 1, ecc (I Gruppi di Roma sono sempre citati in questo documento con la numerazione assegnata loro dall’A.S.C.I., dato che l’AGESCI nel 1974 modifica la numerazione di tutti i Gruppi di Roma).

[lix] Scouts della parrocchia del Divino Amore di Jesi (AN), quelli della parrocchia Regina Mundi di Roma, quelli ospitati presso il seminario di Grosseto, quelli della scuola Sacro Cuore di Genova, quelli di Reggio Calabria, ecc.

[lx] Roma 32, Roma 53, ecc.

[lxi] È il caso, ad esempio, dei Gruppi Roma 25, Roma 43, Roma 46, Roma 71

[lxii] « Esperienze e Progetti » n. 4 p.128

[lxiii] Organizzato dai Riparti Roma 25, Roma 46, Roma 65, Roma 67

[lxiv] « Centro Studi ed Esperienze Scout “Baden Powell” »

[lxv] « Esperienze e Progetti » n.1 p.1

[lxvi] « Estote Parati – Il Trifoglio » n. 7-8/1974 p.12 – « Scout – Proposta Educativa » n.1-2/1975 p.5

[lxvii] « Esperienze e Progetti » n.3 p.104

[lxviii] G. Morello – F. Pieri « Documenti Pontifici sullo Scautismo » Editrice Ancora – 1991 – p. 236

[lxix] « Azimuth » Rivista per i capi dell’Associazione Italiana Guide e Scouts d’Europa Cattolici n.4-1996 p.10

[lxx] Intervista dell’autore, settembre 2000

[lxxi] La prima versione di questo documento è datata 26 agosto 1976 ed è firmata da Mario Sica, responsabile dei rapporti internazionali dell’AGESCI.

[lxxii] Anno CXVI, n. 206 et 207

[lxxiii] L’Unione Internazionale è stata riconosciuta con statuto consultivo dal Consiglio d’Europa il 12/3/1980

[lxxiv] Decreto Canonico dell’ 11 febbraio 1982, prot. 118/82

[lxxv] Decreto del Presidente della Repubblica n. 240 del 18 marzo 1985.

[lxxvi] « L’Osservatore Romano », 4 agosto 1994

[lxxvii] Lettera del Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, card. Camillo Ruini, del 15 ottobre 1998 prot. 959/98.

[lxxviii] Per la Branca più giovane si può scegliere di avere Lupetti o Coccinelle, ma l’AGESCI non consente più l’utilizzo degli altri «ambienti fantastici» dei quali si è parlato precedentemente.

[lxxix] Lettera del 26 giugno 1999 dei due Segretari e dei due Assistenti Mondiali della CICS e della CICG al Presidente del Consiglio Federale dell’Unione Internazionale delle Guide e Scouts d’Europa.

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