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Antonio Zoccoletto

Ma Pietro gli disse: “Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, cammina!”. – Atti degli Apostoli 3,6

Siamo all’inizio degli Atti degli Apostoli dove viene raccontata la guarigione di uno storpio da parte di Pietro. I discepoli avevano assistito sgomenti e impauriti alla morte del Signore, lo avevano visto dopo la sua Resurrezione, avevano ricevuto il dono dello Spirito. Tuttavia la loro fede non era ancora pubblica, dichiarata esplicitamente. Il gesto di Pietro apre la fede del cristiano alla realtà del mondo: Pietro guarisce lo storpio in nome di Gesù (uomo) Cristo (Dio) Nazareno (storicamente identificato) e l’aiuto al bisognoso arriva in forza di una relazione e non di una cosa (argento/oro).

Pietro  non arriva a questo sull’onda di un’emozione e non fa un gesto apotropaico.

Il suo è un lungo cammino accanto a Gesù , vissuto nella fatica di capire, nelle difficoltà della relazione tra  dubbi e tradimenti (Ma chi è costui….) alternati ad  un’adesione convinta (Tu sei il Cristo…).  L’esperienza con Gesù entra nella sua vita, la cambia radicalmente come accadde ad Abramo, a Mosè e a tutti i profeti.

Un  aspetto educativo tra i tanti che possiamo cogliere dalla vita dei discepoli con Gesù è  questo: una relazione vera, seria, fruttuosa

–          si costruisce nel tempo

–          richiede costanza

Essere off-line per essere on-line

Per diventare ed educare “persone nuove”  occorre innanzitutto tempo, un dato che spesso dimentichiamo avviluppati ad una costante corsa per essere sempre on-line.  Naturalmente dentro questo tempo ci saranno dei contenuti da trasmettere ma c’è un dato di realtà: per costruire una persona ci vogliono almeno 20 anni. Se vogliamo costruire relazioni  come Capi educatori dobbiamo sforzarci di dare tempo, offrire tempo, saper trovare il tempo per ascoltare con attenzione e accogliere i bisogni.

Nel Metodo è insita una scansione del tempo che il/la Capo si trovano a dedicare alla costruzione di un rapporto legata necessariamente allo sviluppo psico-fisico della persona.

Da una relazione bambino/adulto si passa ad un rapporto adulto/adulto. Un Capo Clan ha un rapporto molto personale con i  Rover e il tempo che questo richiede è diverso da quello richiesto ad un Capo delle altre branche (parlo di tempo di relazione non certo del tempo che ognuno deve dedicare al servizio che svolge –   un Akela o un C.R. hanno un’altra modalità di dedicare tempo poiché la relazione è più sfumata sul piano personale)

La questione del tempo è quindi molto concreta e incide sulla qualità della relazione.

Ho sempre trovato prezioso e rassicurante che il mio Capo Gruppo avesse tempo per me, giovane ed inesperto Capo Riparto, e che la sua casa fosse aperta all’accoglienza anche quando aveva ben altro a cui pensare (in primis la famiglia e il lavoro).

Penso che a nessun ragazzo/ragazza sfugga quanto noi sappiamo essere disponibili in termini di tempo per loro.

Saper dedicare tempo è un atteggiamento che diventa strumento educativo.

Molto rock, poco roll

Quando parliamo di  “continuità del metodo”  intendiamo dire che l’azione educativa va vissuta come un unico percorso dentro il quale la crescita personale nelle varie fase evolutive ha un filo che le lega costantemente.  Questo punto  è oggetto di riflessione nei Gruppi/Distretti  poiché tocca uno snodo fondamentale: la capacità di parlare, di proporre esperienze , di interagire con individui che cambiano.

La divisione in branche risponde necessariamente ad un aspetto psico-pedagogico (grande intuizione/applicazione di B.P.) ma rischia di creare un divisione asfittica se alla base non vi è un’idea comune di persona e , all’interno del Gruppo, questo percorso non è sostenuto e seguito.

Troppo spesso capita che ci si trovi di fronte a Rover/Scolte o Capi/Capo che non hanno maturato scelte di vita o acquisito quelle competenze (anche tecniche) che sarebbero scontate per chi ha vissuto un percorso scout di matrice cattolica. Non voglio dilungarmi oltre in una riflessione che rimane aperta al contributo assembleare. Rimane tuttavia , a mio avviso, un problema che attiene alla qualità della nostra azione educativa, della formazione che attuiamo nei Gruppi e in Associazione e delle scelte che chiediamo ai soci per costruire con loro una relazione profonda  e seria.

Vorrei portare la riflessione sul punto della continuità anche sotto un altro aspetto che si lega al primo. Nella relazione educativa (lo sanno bene i genitori) talvolta si può essere scoraggiati  dal fatto di riproporre con costanza alcuni punti fermi, con la tentazione di mollare perché gli atteggiamenti e le scelte di chi sto educando non cambiano.  Credo invece con uno dei servizi più grandi che possiamo fare ai nostri ragazzi è il rimanere fedeli alle convinzioni che ci animano. Non con  intransigenze , durezze, rigidità rispetto alla realtà che muta ma senza svendere un rapporto sull’altare di un qualunquismo o sincretismo educativo dove tutto diventa liquido. La relazione vera si costruisce sulla roccia di alcuni snodi fondamentali  sia valoriali (la Promessa, la Legge scout, la Fede) sia pedagogici  e strumentali (la vita all’aperto, il servizio, la responsabilità, ecc.).  Se come Capi dobbiamo sempre essere in grado di motivare le scelte che proponiamo (e quindi essere formati con continuità) perché crediamo che esse ci aiutino ad essere felici, allora la relazione con l’altro non può prescindere dal richiedere un’adesione convinta  che non sia superficiale, episodica ma porti frutti ( nel rispetto delle scelte personali e della progressione nella crescita).

Cammina, cammina

“in Gesu’ Cristo il nuovo umanesimo” è la traccia che la Chiesa italiana ci propone per il Convegno ecclesiale che si terrà a settembre di quest’anno. Per arrivare a costruire un nuovo umanesimo in Cristo noi proponiamo, sulla base dell’esperienza vissuta nelle unità, che si costruiscano relazioni nuove tra persone e in particolare relazioni educative nelle quali trovino spazio la fiducia, l’affidamento, il dono di un servizio, la gioia, la speranza nel migliorarsi, lo stupore di fronte al creato . Come devono porsi di fronte ai ragazzi  il Capo/la Capo per essere credibili  in questo percorso ? Penso che sia necessario seguire le orme di Pietro nel versetto sopra riportato e cioè dare testimonianza pubblica della propria fede. Viviamo in una società che considera l’appartenenza alla Chiesa un fatto privato che non deve aver nulla a che fare con i rapporti sociali, politici, economici. Questa è una grande ipocrisia: se la fede non è pubblica è morta perché non vale nulla se non entra nella vita delle persone e quindi nei loro rapporti pubblici e li condiziona con la prospettiva cristiana.  Pietro non compie un gesto magico e non solo umanitario (quanto va di moda essere buoni, direbbe forse B.P.) ma un gesto di fede.

Ti aiuto in forza di una relazione con Qualcuno. Anche noi possiamo offrire ai nostri ragazzi un aiuto, possiamo dire come Pietro di non possedere argento e oro ma solo di vivere una relazione con il Signore. Un rapporto con momenti di certezze e altri di dubbi e quella relazione la vogliano trasferire, la vogliamo testimoniare anche con i nostri limiti perché non siamo dei maghi che fanno sparire le difficoltà del crescere.  Quando portiamo i ragazzi a vivere un’avventura nella natura, quando li facciamo giocare, quando insegniamo loro ad assumere delle responsabilità, quando in sintesi svolgiamo il nostro servizio di Capi,  stiamo testimoniando l’amore del Signore per ciascuno.

E’ significativo per noi scout l’invito di Pietro: “cammina”.

Si, possiamo aiutare a camminare sulla Strada con il nostro impegno, la nostra formazione, l’applicazione puntuale del metodo, l’ottimismo, con la preghiera.

Antonio Zoccoletto

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