Giuliano Furlanetto

Chiamati dai nostri Vescovi a comprendere come progettare la nuova umanità, avendo in mente Gesù Cristo, anche la nostra Associazione educativa deve  porsi dei quesiti. A questi dovremo tentare di dare delle risposte, riandando ad appropriarci delle nostra grammatica pedagogica ed assumendo maggiore consapevolezza educativa.

Aprendo gli occhi sul nostro modo di educare ci verrà diretto il vedere come il nostro, quello dello Scoutismo, sia un metodo, un sistema educativo, che si basa sul fare, sull’imparare facendo. Il saper far bene le piccole cose, il realizzare il necessario per essere comodi e il fare per comprendere il nostro essere in relazione. In questa lunga progressione fatta di Pista, Sentiero e Strada si pongono davanti ai nostri ragazzi tante cose da fare. Tante cose da fare che stuzzichino il saper sognare, il sapersi porre delle mete, qualcosa da raggiungere. Il qualcosa da fare che sia interessante da svolgere perché ha una sua utilità ed una sua bellezza.

Parlando di questo qualche cosa da fare, introduciamo un elemento caratteristico dello Scoutismo, che è la Tecnica. Tecnica in senso stretto di saper realizzare delle costruzioni tramite svariate modalità, come in senso più ampio come il saper segnalare tramite il semaforico, ampliando il raggio con la tecnica dell’espressione ad imparare appunto ad esprimersi a comunicare. Nel suo senso ancora più ampio possiamo caratterizzare il termine tecnica che implica l’adozione di un metodo, di una strategia identificando precisamente gli obiettivi e chiarendo i mezzi più adatti per raggiungerli.

La tecnica, dal greco τέχνη- téchne, è dunque l’arte  con l’accezione di perizia, del saper fare, saper operare è l’insieme delle norme applicate e seguite in una attività che sia esclusivamente intellettuale o anche solamente manuale.

Sarà possibile umanizzare l’uomo, ad immagine di Gesù tramite questo fare, questa tecnica?

Ripensando a Gesù, al nostro modello, nella prima parte della sua vita, questa viene caratterizzata come una vita che si conduce nella quotidianità del fare. Come il padre, Giuseppe, anche Gesù svolge la stessa occupazione: Non è costui il carpentiere, il figlio di Maria (Marco 6,3), Non è egli forse il figlio del carpentiere? (Matteo 13,55).

Il Padre ha inviato il Figlio prediletto nelle pieghe della vita, nella normalità, in un ambito di vita che è quello dell’essere un lavoratore manuale. Un tecnico in grado di dare forma prima di tutto al luogo dove la famiglia nasce, si sviluppa, si incontra, vive le sue positività, le sue difficoltà e i suoi sogni: la sua abitazione.

è questo che è chiamato l’Uomo a fare, a vivere bene in quella porzione di spazio e di tempo che gli viene assegnato. Dio infatti prese l’uomo e lo pose nel suo giardino perché lo coltivasse e lo custodisse. E per coltivare e custodire, per gestire bene ciò che gli viene affidato è necessario avere delle abilità, delle competenze, una tecnica.  Il nostro fare ha l’obiettivo di umanizzare, rendere umano il nostro tempo secondo i tratti del volto di Dio e in modo da accelerare il tempo in cui tutto sarà ricapitolato in Gesù Cristo, tutto sarà rivelato alla luce di quella Bellezza. Fare bene le piccole cose, vuol dire lavorare di cesello alla ricerca di ogni tratto che possa renderci più simili a Cristo, non solo noi insieme agli altri ma anche le cose di questo mondo.

In questo l’uomo diventa coautore del Creato, quella fiamma che arde dentro ognuno di noi è segno dell’essere ad immagine e somiglianza del Padre e tale origine è densa di conseguenze. L’uomo, a differenza del resto degli esseri viventi, è in grado di immaginare, di pensare, di essere creativo in vari ambiti. Pensiamo a quante soluzioni l’uomo, sin dai primordi, abbia generato per rendere più semplice la sua sopravvivenza, per darsi degli ausili e mano a mano che ci si avvicina ai giorni nostri per semplificare la vita e provare a renderla più piacevole. Gli esempi si sprecano, dalla ruota alla pittura fiamminga, dall’uso del fuoco alla musica di Johann Sebastian Bach, dalla lancia all’architettura di Le Corbusier, dai graffiti rupestri all’uso dell’energia solare, dalle prime imbarcazioni ai manicaretti più prelibati dei migliori cuochi.

Riportiamo il percorso svolto dall’umanità – meglio ancora dell’uomo verso la sua origine e suo fine, la luce dello Spirito che illumina la nostra esistenza, la presenza del Padre – all’interno della parabola Scout.
Quegli anni in cui il ragazzo è in educazione, meglio ancora in auto-educazione,  quel periodo in cui cerchiamo di fargli delle domande perché possa tirare fuori quel,  almeno, 5% di buono che ha in sé, avrà modo di sperimentare se non per intero almeno per alcune parti quanto l’umanità ha provato nella sua storia.

In quella metafora di vita che è il metodo scout il bambino-ragazzo-giovane dovrà cimentarsi con le scoperte dell’umanità ed appropriarsene nella maniera più pratica possibile, rivivendole.

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